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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Concentrazioni e ‘gun jumping’ – La Corte di Giustizia conferme le due sanzioni di 10 milioni di euro imposte dalla Commissione a Marine Harvest

Con la sentenza del 4 marzo scorso, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) ha respinto il ricorso della società norvegese Marine Harvest ASA (Marine Harvest o la Ricorrente) avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) che aveva confermato la sanzione di 20 milioni di euro, irrogata dalla Commissione europea (Commissione), per aver violato rispettivamente i) l’obbligo di comunicazione preventiva di una concentrazione alla Commissione, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del Regolamento UE n. 139/2014 in materia di concentrazioni (EUMR); e ii) il divieto di dare attuazione ad una concentrazione prima della relativa autorizzazione (c.d. obbligo di standstill), previsto dall’art.7, comma 1, dello stesso EUMR.

La vicenda trae origine dall’acquisizione nel dicembre 2012 di una partecipazione del 48,5% della società Morpol ASA (Morpol) da parte di Marine Harvest (l’Acquisizione del dicembre 2012). Il giorno precedente al closing di tale operazione, nel dicembre del 2012 Marine Harvest aveva annunciato la propria intenzione di fare un’offerta pubblica di acquisto per le azioni restanti della Morpol, in conformità con la legge norvegese. La Ricorrente aveva poi completato l’acquisizione dell’intero capitale sociale di Morpol in due fasi successive, nel marzo e novembre 2013. Considerando tutte tali operazioni un’unica concentrazione, Marine Harvest aveva avviato la fase di pre-notifica soltanto qualche giorno dopo l’Acquisizione del dicembre 2012 e aveva notificato l’intera operazione nell’agosto 2013.

La Commissione, tuttavia, sospettando che l’Acquisizione del dicembre 2012 avesse già conferito a Marine Harvest il controllo esclusivo di fatto su Morpol, ha avviato un’indagine per omessa notifica e violazione dell’obbligo di standstill, conclusasi con l’irrogazione di due sanzioni, ciascuna di 10 milioni di euro. In seguito al ricorso di Marine Harvest, il Tribunale ha confermato la legittimità delle sanzioni, criticando aspramente Marine Harvest per il modo in cui aveva proceduto a gestire la vicenda. Con la sentenza in esame, la CdG ha ribadito le conclusioni raggiunte dalla Commissione e dal Tribunale, respingendo i due motivi d’impugnazione dedotti dal ricorrente.

Con il primo motivo, la Ricorrente ha sostenuto che il Tribunale avrebbe dovuto considerare l’Acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica d’acquisto come una concentrazione unica, dal momento che le due operazioni sarebbero state collegate da una condizionalità reciproca. La concentrazione avrebbe dovuto beneficiare dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 2, dell’EUMR, che deroga all’obbligo di c.d. standstill in caso di operazioni sui mercati dei valori mobiliari. La CdG, tuttavia, ha ribadito che il controllo era già stato acquisito nell’ambito dell’Acquisizione del dicembre 2012, la quale non era avvenuta un mercato mobiliare ma tra privati e che l’offerta pubblica d’acquisto lanciata successivamente, non comportando alcuna modifica del controllo dell’impresa, non rientrasse nella nozione di “concentrazione”. La deroga prevista dall’art. 7, comma 2, dell’EUMR era, pertanto, irrilevante nella misura in cui la modifica del controllo non era avvenuta nel contesto di una serie di transazioni su valori mobiliare, bensì attraverso un unico acquisto del 48,5% delle azioni di Morpol.

Con il secondo motivo d’impugnazione, la Ricorrente ha contestato l’imposizione di due ammende distinte, una per la violazione dell’obblio di notifica, l’altra per la violazione dell’obbligo di standstill. In particolare, la Ricorrente ha fatto valere la violazione di alcuni principi, ossia del ne bis in idem, quello della corretta imputazione di una infrazione e il concorso di più infrazioni. Secondo la CdG, l’asserita violazione del principio del ne bis in idem non è ravvisabile in quanto esso riguarda specificamente la ripetizione di un procedimento conclusosi con una decisione definitiva concernente il medesimo elemento materiale. La CdG ha altresì rigettato la tesi della Ricorrente, la quale sosteneva che, poiché la violazione dell’obbligo di notifica, ossia di aver dato esecuzione all’operazione senza aver preventivamente comunicato l'operazione alla Commissione comportava necessariamente la violazione anche dell’obbligo di standstill, ossia la stessa condotta violava automaticamente due norme (art. 4, comma 1, e art. 7, comma 1, dell’EUMR), si dovesse individuare una disposizione applicabile in via principale tale da escludere l’altra, in base ai principi di sussidiarietà, “consumazione” e specialità. In particolare, la Ricorrente ha precisato che la fattispecie di cui alla violazione dell’obbligo di standstill ’, dovesse includere quella di cui all’obbligo di notifica preventiva. La CdG, tuttavia, ha confermato la tesi del Tribunale (e respinto quella, probabilmente più corretta dal punto di vista dei principi dell’ordinamento italiano, dell’Avvocato Generale Tanchev, per cui si veda la Newsletter del 30 settembre 2019) basandosi, in particolare, sul tenore letterale dell’art. 14, comma 2, lettere a) e b), che prevede la possibilità di applicare ammende distinte per ciascuna di tali violazioni, nel caso in cui queste ultime siano commesse contemporaneamente, realizzando una concentrazione prima di notificarla alla Commissione. La CdG ha, inoltre, affermato che nel testo del Regolamento n. 139/2004 non fosse ravvisabile una diposizione più grave, più specifica o applicabile “in via principale” tra le due, le quali perseguono obiettivi autonomi.

In conclusione, la CdG ha avvallato l’approccio severo della Commissione, consistente nell’applicare due sanzioni (che prevedono ciascuna come limite il 10% del fatturato totale dell’impresa interessata) per la violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva di una concentrazione alla Commissione, la quale invero determina automaticamente altresì l’inosservanza dell’obbligo di standstill (mentre non è sempre vero l’opposto: può esservi una violazione del divieto di c.d. gun-jumping dopo una notifica tempestivamente effettuata). Peraltro, sembra che la CdG abbia forse voluto lasciare una porta aperta alla possibilità di contestare la normativa in questione mediante un obiter, nel quale è stata indirettamente menzionata la possibilità di sollevare una - eccezione di illegittimità dell’art.14, comma 2, dell’EUMR conseguente proprio alla lettura formalistica che ne è stata data dalla CdG.

Luigi Eduardo Bisogno
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Aiuti di Stato e servizi di trasporto marittimo – La Commissione ha deciso che alcune delle misure a favore delle società dell’ex Gruppo Tirrenia e CIN non sono compatibili con le norme europee

Il 2 marzo scorso la Commissione Europea (Commissione) ha adottato diverse decisioni nell’ambito dei procedimenti avente ad oggetto  presunti aiuti di Stato concessi alle società Tirrenia di Navigazione S.p.A. (Tirrenia), Adriatica di Navigazione (Adriatica, successivamente fusa con Tirrenia), Caremar – Campania Regionale Marittima S.p.A. (Caremar), Saremar – Sardegna Regionale Marittima S.p.A (Saremar), Siremar – Sicilia Regionale Marittima S.p.A. (Siremar), Toremar – Toscana Regionale Marittima S.p.A. (Toremar), e (congiuntamente, le Società ex-Tirrenia) e a Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A (CIN).

Le decisioni in discorso giungono a conclusione delle indagini della Commissione avviate nel 2011 circa la compatibilità con le norme in materia di aiuti di Stato di numerose misure adottate dallo dall’Italia a favore delle Società ex-Tirrenia, tra cui la compensazione per obblighi di servizio pubblico corrisposta dall’Italia alle società del gruppo; il sostegno concesso alle società nel contesto della loro privatizzazione; e la proroga dei contratti di servizio pubblico di cui erano parte.

Con una decisione adottata il 22 gennaio 2014, la Commissione aveva già dichiarato le misure adottate a favore della sola Saremar compatibili o non costitutive di aiuti di Stato; per quando riguarda le misure riguardo cui la decisione della Commissione era ancora pendente, la Commissione ha ora dichiarato compatibili con le norme europee:

- la compensazione pari a circa 265 milioni di euro concessa a Tirrenia per la gestione di 12 tratte marittime dal 1° gennaio 2009 al 18 luglio 2012; 
- la compensazione pari a circa 581 milioni di euro concessa a CIN per il periodo dal 18 luglio 2012 al 18 luglio 2020; nonché 
- gli aiuti concessi nel periodo1992–2008 a favore delle Società ex-Tirrenia per la fornitura di servizi di trasporto marittimo internazionale. 

Inoltre, la Commissione ha riconosciuto che gli aiuti concessi nel periodo 1992–2008 a favore delle Società ex-Tirrenia per la fornitura di servizi di trasporto marittimo di cabotaggio nonché il trattamento fiscale degli oli minerali utilizzati come combustibile per la navigazione costituiscono degli aiuti preesistenti.

La Commissione ha invece dichiarato incompatibili con le norme UE:

- il prolungamento dell’aiuto concesso per il salvataggio di Tirrennia per un anno oltre la durata inizialmente prevista di sei mesi; 
- l’uso per coprire le spese correnti della società dei fondi concessi per il miglioramento della flotta;
- alcune esenzioni fiscali concesse a Tirrenia nell’ambito del processo di privatizzazione; nonché 
- gli aiuti concessi per la gestione di una linea da/per la Grecia per il periodo compreso tra gennaio 1992 e luglio 1994, in quanto la controllata operante tale tratta era all’epoca coinvolta in un cartello di fissazione dei prezzi relativi alla medesima tratta.

Pertanto, la Commissione ha ordinato all’Italia di recuperare dalle società coinvolte somme pari a circa 15 milioni di euro, una somma relativamente contenuta rispetto al valore complessivo delle misure a favore delle stesse società adottate nel periodo analizzato dalla Commissione.

Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza Italia/Abusi escludenti e settore della produzione di preforme in PET – L’AGCM ha avviato un procedimento nei confronti del gruppo Husky Italia per accertare un possibile abuso di posizione dominante attraverso una strategia di vendita abbinata

Nella sua adunanza del 28 gennaio 2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deciso di avviare un’istruttoria nei confronti delle società Husky Injection Molding Systems Ltd, Husky Injection Molding Systems S.A. e Husky Italia S.r.l. (il Gruppo Husky) per accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Il Gruppo Husky è un operatore leader a livello mondiale nella fornitura di sistemi completi impiegati nella produzione di preforme in PET (c.d. sistemi di stampaggio ad iniezione). Più precisamente, il Gruppo Husky produce, da un lato, i macchinari e, dall’altro, gli stampi che vengono utilizzati dai produttori di preforme in PET, nonché dai produttori di contenitori che ne hanno internalizzato la produzione, per la realizzazione di tali prodotti.

I macchinari e gli stampi impiegati nello stampaggio risultano prodotti tra di loro complementari. Diversi operatori risultano attivi nella produzione sia di macchinari sia di stampi. Secondo quanto contenuto nel provvedimento di avvio, Husky fornirebbe unicamente stampi per i propri macchinari, mentre altri operatori concorrenti sono attivi anche nella progettazione e produzione di stampi compatibili con i diversi tipi di macchinari in commercio, tra cui quelli della stessa Husky.

L’AGCM ha quindi posto in rilievo due mercati rilevanti: quello dei macchinari per la produzione di preformati in PET, in cui il Gruppo Husky risulterebbe detenere una posizione di particolare rilievo, e quello degli stampi, in cui coesistono sia operatori integrati (tra i quali lo stesso Gruppo Husky), sia imprese specializzate nella produzione e vendita di soli stampi.

Per quanto riguarda le condotte oggetto dell’approfondimento istruttorio, secondo quanto ricostruito in via preliminare dall’AGCM, Husky avrebbe posto in essere una strategia di vendita abbinata di natura tecnica tale da rendere incompatibile, o quanto meno non conveniente, l’uso di stampi a iniezione prodotti da terzi sui propri macchinari di nuova generazione. In particolare, a partire dal 2014, Husky avrebbe apposto – secondo la tesi accusatoria, senza alcun apparente motivo inerente alla sicurezza del processo produttivo ovvero all’integrità dei macchinari – sui propri macchinari di nuova generazione un sistema basato su sensori elettronici in grado di far funzionarie il macchinario a piena velocità apparentemente solo in presenza di uno stampo originale Husky, dotato di uno speciale chip elettronico riconosciuto dal macchinario. Qualora il sistema rilevi, al contrario, l’utilizzo di stampi di produttori terzi, la performance diminuirebbe.

In aggiunta a questa modifica, il Gruppo Husky avrebbe altresì posto in essere una serie di condotte con il fine di dissuadere gli utilizzatori dal ricorrere a stampi di produttori concorrenti. Più nello specifico, il Gruppo Husky avrebbe: 

i) negato ai clienti di fornire loro, su specifica richiesta, i cosiddetti codici di sblocco che permetterebbero di ripristinare la normale funzionalità dei macchinari Husky quando vengono utilizzati stampi della concorrenza;
ii) minacciato di non fornire l’assistenza tecnica ai clienti che avessero installato stampi della concorrenza sui macchinari Husky; 
iii) adottato azioni di denigrazione nei confronti dei concorrenti, paventando ai clienti il possibile peggioramento della qualità dei preformati PET qualora realizzati con stampi non originali Husky; 
iv) imposto ai clienti una limitazione/annullamento della garanzia sul macchinario in caso di utilizzo di stampi prodotti da terzi.

Sia l’ipotizzato potere di mercato del Gruppo Husky, sia le condotte sopra brevemente illustrate saranno oggetto dell’approfondimento istruttorio che l’AGCM eseguirà nel corso del procedimento il cui termine è fissato al 31 marzo 2021.

Mila Filomena Crispino
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Concentrazioni e settore della pay tv – Il TAR Lazio ha annullato il provvedimento con cui l’AGCM ha autorizzato con prescrizioni l’acquisizione della società R2 da parte di Sky Italia

Con la decisione dello scorso 5 marzo, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (il TAR) ha accolto il ricorso presentato dalle società Sky Italia S.r.l. e Sky Italia Holdings S.p.A. (congiuntamente, Sky) avverso il provvedimento emanato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) a conclusione del procedimento C12207 Sky Italia/R2 (il Provvedimento) – il quale è già stato oggetto di analisi in questa Newsletter – tramite cui era stata autorizzata, con l’imposizione di rimedi ai sensi dell’articolo 18, comma 3, della legge n. 287 del 10 ottobre 1990 (Legge 287/1990), l’operazione di concentrazione che ha interessato il trasferimento di alcuni contratti accessori nonché la stipulazione di un accordo di sub-licenza relativo alla tecnologia del digitale terrestre (DTT) (l’Accordo di sub-licenza) tra Mediaset Premium S.p.A. (Mediaset Premium o MP) e Sky (congiuntamente, le Parti).

In particolare, con il Provvedimento de quo l’Autorità aveva ritenuto che la risoluzione consensuale tra le Parti del nucleo principale del complesso accordo che aveva caratterizzato l’originaria operazione di concentrazione oggetto di notifica (l’Operazione) – la quale prevedeva, principalmente, l’acquisizione da parte di Sky del controllo esclusivo sulla società R2 S.r.l. (R2), interamente controllata da Mediaset Premium ed in cui era confluito il ramo d’azienda ‘operation pay’ della stessa (comprendente l’intera attività pay tv di Mediaset Premium) – non ha impedito alle componenti residue, sì orfane dell’elemento principe dell’Operazione ma - ad avviso dell’AGCM - ancora rilevanti in quanto avevano prodotto un effetto irreversibile sul mercato, di dare luogo ad una operazione di concentrazione soggetta all’approvazione dell’Autorità.

Sky ha, quindi, impugnato detto Provvedimento incardinando il proprio ricorso su un duplice ordine di motivi:

i) motivi procedurali, secondo cui la sensibile diversità intercorrente tra l’Operazione originariamente notificata all’Autorità e quella che ha formato oggetto del Provvedimento impugnato richiedeva necessariamente l’istituzione di due procedimenti diversi, data la natura fondamentalmente diversa delle stesse; e 
ii) motivi sostanziali, secondo cui l’Autorità avrebbe autorizzato con condizioni una concentrazione inesistente in quanto priva dei requisiti necessari affinché potesse essere qualificata come tale.

Più nello specifico, rispettivamente:

i) come sostenuto da Sky, l’Autorità avrebbe agito violazione dei termini istruttori e del suo diritto al contraddittorio, in quanto avrebbe illegittimamente fondato il Provvedimento viziato su elementi fattuali e documentali successivi alla chiusura della fase istruttoria (su cui, pertanto, Sky non avrebbe avuto possibilità di difendersi). Il TAR ha accolto le doglianze di Sky sul punto riconoscendo l’intrinseca differenza tra l’operazione di concentrazione analizzata dall’AGCM nella propria comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI) (caratterizzata, come detto, dall’acquisizione di R2) e quella oggetto del Provvedimento in questione (composta da singoli accordi, in parte successivi alla summenzionata risoluzione). Ad avviso del TAR, infatti, ciò ha comportato una diminuzione delle garanzie partecipative di Sky, nonché una lesione del suo diritto di difesa infra-procedimentale, in quanto non ha avuto modo di difendersi in merito all’ipotesi accusatoria di cui al Provvedimento. Necessaria, pertanto, era l’instaurazione di un diverso procedimento d’ufficio avente ad oggetto le attività e gli accordi analizzati nel Provvedimento de quo;
ii) per quanto attiene ai motivi sostanziali, Sky, in particolare, ha sottolineato come l’Accordo di sub-licenza – in quanto avente non esclusiva e limitato nel tempo – non potesse essere qualificato come concentrazione, anche perché non avrebbe impedito a Mediaset Premium di continuare nella relativa attività di trasmissione di contenuti sulla propria piattaforma DTT. MP ha presentato (e continua a presentare) la sua piattaforma ‘Infinity’ – peraltro, a dire il vero, non sul DTT ma su internet, trattandosi di un OTT - come naturale continuazione della stessa offerta e non avrebbe comportato alcuna cessione del ramo editoriale di Mediaset Premium a favore di Sky (anche se, a dire il vero, tutti i contenuti di MP sono in realtà distribuiti tramite Sky). In aggiunta, Sky aveva anche sostenuto che l’Autorità aveva fondamentalmente errato nel valutare gli effetti dell’operazione, in quanto quest’ultima non avrebbe determinato l’uscita di MP dal mercato dei servizi pay tv o la rinuncia di quest’ultima ad offrirli sulla propria piattaforma DTT. Sul punto il TAR, infatti, si è limitato ad indicare le carenze che hanno caratterizzato l’attività istruttoria dell’AGCM, come, ad esempio, la mancata analisi della reale natura concertativa e del relativo vincolo condizionale dell’insieme di operazioni (tra loro neanche cronologicamente coincidenti) che hanno formato oggetto del Provvedimento impugnato.

La sentenza oggetto del presente commento è di chiaro interesse per almeno un duplice ordine di motivi: in primis, dal punto di vista del sindacato giurisdizionale, poiché dimostra la volontà del TAR di esprimersi anche in relazione a questioni sostanziali circa le operazioni di concentrazione; in secondo luogo, in quanto permette di riconsiderare criticamente i vari passaggi adottati dall’AGCM nell’analisi di un’operazione tecnicamente molto complessa. Non resta, comunque, che attendere il probabile appello dinnanzi al Consiglio di Stato (CdS) per vedere se le posizioni dal TAR saranno o meno confermate.

Luca Feltrin
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Tutela del consumatore/Tutela del consumatore e clausole abusive – La Grande Sezione della Corte di Giustizia UE si è espressa su un rinvio pregiudiziale in materia di clausole abusive relative a contratti di mutuo

Lo scorso 3 marzo 2020, la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE o la Corte) si è espressa sul rinvio pregiudiziale presentato dal Tribunale di prima istanza n. 38 di Barcellona (il Giudice Nazionale) relativo alla controversia nata a seguito della stipula di un contratto di mutuo tra un cittadino spagnolo (il Mutuatario) e la BANKIA SA (la Banca).

La controversia davanti al Giudice Nazionale riguardava l’asserita abusività della clausola del contratto di mutuo che prevedeva l’applicabilità, per la determinazione del tasso di interesse variabile, dell’indice IRPH. L’indice IRPH è uno degli indici previsti dal diritto spagnolo per i contratti di mutuo e, tra questi, risulta essere particolarmente svantaggioso per i mutuatari.

Il Mutuatario aveva lamentato davanti al Giudice Nazionale che la Banca non gli avesse fornito i mezzi per valutare la convenienza dell’indice applicato e che, pertanto, la clausola che lo prevedeva dovesse essere dichiarata abusiva in virtù di quanto disposto dalla Direttiva 93/13/CEE (la Direttiva) e dalle norme a tutela del consumatore previste dal diritto spagnolo.

Con il rinvio pregiudiziale il Giudice Nazionale ha chiesto alla Corte:

 i) se nel caso di specie sia applicabile l’articolo 1, paragrafo 2, della Direttiva nella parte in cui prevede che non sono soggette a controllo le clausole che riportano disposizioni di legge, anche considerando che la predetta disposizione non è mai stata recepita dal diritto spagnolo; 
ii) se la clausola oggetto della controversia sia da considerarsi abusiva secondo quanto disposto dall’articolo 4 della Direttiva; e 
iii) se a seguito dell’annullamento della clausola il giudice nazionale possa integrare il contratto di imperio con una clausola sostitutiva.

Per quanto riguarda la questione sub i) la Corte ha preliminarmente rilevato che, benché l’articolo 1, paragrafo 2, della Direttiva non sia mai stato recepito dal legislatore spagnolo, la natura della disposizione è tale da rappresentare uno dei casi di diretta applicabilità delle direttive europee – anche nei rapporti tra privati – per la sua natura sufficientemente chiara e incondizionata al punto da non lasciare margine di apprezzamento ai legislatori nazionali. Tuttavia, il fatto che l’indice previsto dal contratto sia uno degli indici legalmente riconosciuti dal diritto spagnolo non consente di far rientrare la clausola nell’esenzione prevista dal predetto articolo. La Corte ha osservato come l’articolo in questione riguardi solo ed esclusivamente le clausole che riportano disposizioni di legge aventi natura imperativa mentre nel caso di specie la legge spagnola prevede l’utilizzo del suddetto indice in via del tutto eventuale e suscettibile di negoziazioni sul punto. 
Rispetto all’abusività della clausola, oggetto del punto sub ii), la Corte ha riconosciuto la posizione del Mutuatario specificando che l’intelligibilità formale e grammaticale di una clausola non è sufficiente ad escluderne l’abusività quando una delle parti contraenti non dispone di conoscenze adeguate a valutare in concreto l’onerosità della stessa. La Corte ha ricordato come, in situazioni come quella oggetto del procedimento, gli istituti di credito sono tenuti a fornire informazioni specifiche riguardanti l’andamento negli anni passati dell’indice prescelto così che i mutuatari possano rendersi autonomamente conto del livello di convenienza del contratto cui si obbligano.

Infine, esprimendosi sulla questione di cui al punto sub iii), la Corte ha riconosciuto al giudice nazionale la possibilità di integrare il contratto, a seguito della declaratoria di abusività dell’indice originariamente prescelto, con un indice sostitutivo purché questo sia previsto per legge. La Corte, infatti, ha rilevato che, se il Giudice Nazionale si limitasse ad escludere dal contratto la clausola ritenuta abusiva, verrebbe meno l’intero contratto (in quanto privo di un elemento essenziale dell’oggetto dell’accordo tra le parti) con conseguenze pregiudizievoli per il consumatore.

Questa decisione rappresenta senz’altro un passo in avanti nella tutela del consumatore in ambito bancario. La Corte ha, infatti, chiarito in maniera esplicita a quali condotte le banche devono attenersi nelle contrattazioni relative alla stipula di mutui, rafforzando così la posizione dei mutuatari che hanno sempre più strumenti per difendersi da clausole svantaggiose. Allo stesso tempo, la decisione è strettamente collegata ad alcuni aspetti del diritto civile spagnolo, e le stesse questioni andrebbero pertanto valutate nuovamente alla luce di altri ordinamenti nazionali (incluso quello italiano).

Stefano Castellana
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