Skip to main content

Newsletter

Newsletter Giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Concentrazioni e Gun-jumping – Secondo l’AG è un errore applicare ad una impresa due sanzioni distinte per omessa notifica e violazione della regola di c.d. stand-still

L’Avvocato Generale (AG) Tanchev presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Corte) ha presentato le proprie conclusioni nell’ambito dell’appello proposto dalla società Marine Harvest (MH o la Società) avverso la sentenza con cui il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha per il momento confermato la decisione del 2014 con cui la Commissione europea aveva sanzionato la stessa Società per “gun jumping”.

In particolare, la Commissione aveva irrogato a MH due sanzioni, ciascuna € 10 milioni, per aver violato rispettivamente (i) l’obbligo di comunicazione preventiva di una concentrazione alla Commissione (art. 4, comma 1, del Regolamento UE sul controllo delle concentrazioni n. 139/2014 (EUMR)) e (ii) il divieto di non dare attuazione ad una concentrazione prima della clearance della Commissione (obbligo di c.d. stand-still). L’AG ha ora indicato che applicare entrambe le sanzioni è stato un errore da parte della Commissione, raccomandando alla Corte l’annullamento dell’ammenda irrogata ai sensi dell’art. 7(1) EUMR.

La vicenda trae origine dall’acquisizione da parte di MH di Morpool, posta in essere mediante (i) l’acquisto di una partecipazione del 48,5%, perfezionata prima di essere notificata alla Commissione europea, e (ii) la successiva offerta pubblica di acquisto delle restanti azioni di Morpol, che le ha consentito di aumentare la sua partecipazione nel capitale di Morpol dal 48,5% all’87,1%, quest’ultima notificata alla Commissione e da essa approvata. La Commissione aveva tuttavia successivamente accertato che già il primo acquisto aveva conferito a MA il controllo su Marpol, senza però essere stata notificata e, quindi, autorizzata, irrogando due distinti sanzioni – come sopra già ricordato – le quali sono poi sono state confermare da Tribunale.

MH ha quindi proposto appello alla Corte, basando la propria azione su una serie di motivi, fra cui:

(i) una ricostruzione – respinta dall’AG – secondo cui il primo acquisto e la successiva offerta pubblica fossero in realtà una unica concentrazione, quindi notificata nel rispetto dell’EUMR;

(ii) una interpretazione, a dire il vero originale, dell’art. 7, comma 2, EUMR, la cui deroga all’obbligo di c.d. stand-still in caso di operazioni sui mercati dei valori mobiliari avrebbe dovuto applicarsi anche alla prima acquisizione sopra citata – una tesi anch’essa respinta dall’AG;

(iii) l’asserita violazione del principio del ne bis in idem, non ravvisabile tuttavia secondo l’AG in quanto l’assenza di una precedente e separata decisione sanzionatoria (e non contenuta nella stessa decisione) impedisce di ritenere sussistente l’elemento del “bis” in tale fattispecie;

(iv) l’errata applicazione delle regole sul “conflitto apparente” o concorso fra norme, che andrebbe risolto in base ai principi generali del diritto (come consolidati nelle esperienze giuridiche nazionali) secondo il principio di specialità ovvero di sussidiarietà o “consunzione”. Condividendo questo motivo di impugnazione l’AG ritiene che avrebbe dovuto trovare applicazione solo la sanzione per omessa notifica, posto che questa è appunto più specifica rispetto a quella sullo stand-still. Ciò, in quanto la prima violazione comporta automaticamente anche la seconda: infatti, solo al momento della attuazione della concentrazione può dirsi che la comunicazione alla Commissione, ancora possibile fino a quel punto, è stata omessa. L’AG ha quindi ritenuto fondata la richiesta di annullare la sanzione irrogata per la violazione dell’art. 7(1) EUMR.

L’intervento in esame dell’AG è di particolare interesse sia sul piano teorico (data l’applicazione di principi generali in un ambito assai specifico della normativa antitrust), sia su quello pratico (dato il potenziale impatto anche su altre vicende simili: cfr. le recentissima decisione della Commissione contro Canon per gun-jumping, pure in quel caso irrogando due sanzioni distinte), anche se a quest’ultimo riguardo, in un’ottica di medio-lungo periodo, la rilevanza delle conclusioni sopra riassunte resta in un certo senso vanificata da un contesto normativo in cui – al contrario che per le violazioni degli artt. 101 e 102 TFUE – per la quantificazione in concreto dell’ammontare delle sanzioni non esiste alcun parametro analitico specifico. Resta in ogni caso da vedere se la ragionevole posizione dell’AG sarà accolta o meno dalla Corte.

Alessandro Di Giò
-----------------------------------------------------------------------

Intese e settore delle buste – Il Tribunale dell’UE rigetta il ricorso sulla sanzione presentato da un’impresa coinvolta nell’intesa ma condanna la Commissione Europea al pagamento delle spese

Con la sentenza del 24 settembre 2019 il Tribunale dell’UE (Tribunale) ha confermato la sanzione imposta dalla Commissione Europea (Commissione) a carico di alcune società appartenenti al gruppo Printeos (Printeos o Società) per aver preso parte ad un’intesa sul mercato delle buste standard/disponibili su catalogo e delle buste speciali stampate.

La vicenda oggetto della sentenza in commento prende le mosse dalla decisione adottata nel 2014 dalla Commissione con cui, in esito ad una istruttoria conclusa con la procedura di settlement, veniva accertata l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale tra cinque operatori attivi nel mercato delle buste che concerneva la fissazione dei prezzi, la spartizione della clientela e lo scambio di informazioni sensibili in diversi Paesi dello Spazio Economico Europeo (la Decisione del 2014).Con riferimento alle sanzioni applicate, considerato il carattere di imprese monoprodotto dei partecipanti all’intesa e del fatto che l’applicazione del tetto del 10% non avrebbe consentito alla sanzione di riflettere adeguatamente la gravità, la durata e le circostanze specifiche relative a ciascun partecipante all’intesa, la Commissione ha ritenuto di discostarsi dalle linee guida applicabili per il calcolo delle ammende. Pertanto, la Decisione del 2014 aveva applicato una riduzione percentuale (in misura diversa per ciascun partecipante) dell’importo di base della sanzione.

Printeos aveva dunque impugnato di fronte al Tribunale la Decisione del 2014, che era poi stata annullata limitatamente alla sanzione, in ragione del fatto che la Commissione non aveva adeguatamente motivato l’entità delle riduzioni applicate all’importo base delle sanzioni (la Sentenza del 2016).

Successivamente la Commissione aveva adottato una nuova decisione, per mezzo della quale veniva irrogata a Printeos una sanzione avente lo stesso importo di quella inflitta con la Decisione del 2014, nella quale, tuttavia, venivano illustrate le ragioni sottese al calcolo di tale ammenda (la Decisione del 2017).

Printeos ha quindi presentato ricorso al Tribunale avverso la Decisione del 2017, il quale è stato rigettato con la sentenza del 24 settembre 2019.

In primo luogo, il Tribunale ha chiarito che l’imposizione di una nuova sanzione con la Decisione del 2017 non costituiva, nel caso di specie, una violazione del principio del ne bis in idem. Infatti, considerato che l’annullamento della sanzione disposto con la Sentenza del 2016 si basava su un errore di natura procedurale e non implicava un’assoluzione con riguardo all’esistenza delle condotte illecite, la Commissione era legittimata ad adottare una nuova decisione sanzionatoria, sanando l’errore procedurale.

In secondo luogo, Printeos aveva lamentato il carattere non proporzionato dell’ammenda, alla luce della sanzione che già le era stata inflitta per le medesime condotte anche da parte dell’autorità nazionale spagnola per la concorrenza. Il Tribunale ha rigettato anche questo motivo chiarendo che, tanto per l’ambito geografico interessato, quanto per la relativa durata, le condotte dovevano considerarsi diverse.

In terzo luogo, Printeos aveva censurato la disparità di trattamento subita in relazione all’entità della riduzione della propria sanzione rispetto a quella degli altri partecipanti all’intesa. Sul punto, il Tribunale ha concordato con la Società, ritenendo, in particolare, che la Commissione non avesse adeguatamente motivato le ragioni per cui a Printeos era stata accordata una riduzione pari al 90% dell’importo base della sanzione, mentre per un altro partecipante all’intesa (la società GPV) la riduzione era stata pari al 98%. Ciò posto, il Tribunale ha comunque respinto il motivo in esame, ritenendo che la Società non avesse dimostrato che il trattamento riservato alla società GPV avesse avuto l’effetto di tradursi in uno svantaggio per Printeos.

Nonostante l’esito del ricorso, è significativo che il Tribunale abbia condannato la Commissione al pagamento delle spese (incluse quelle di Printeos), constatando la ‘mancanza di rigore’ della decisione della Commissione sia in relazione alla definizione della metodologia di calcolo dell’importo base della sanzione, sia della sua applicazione concreta e del relativo obbligo di motivazione.

Da una parte, dunque, il Tribunale ha riproposto la giurisprudenza circa la possibilità per la Commissione di sanare ex post un errore procedurale, ma dall’altra ha mandato un chiaro messaggio alla Commissione stessa circa la necessità di procedere comunque in maniera rigorosa, senza “costringere” le imprese sanzionate a dover agire in giudizio per vedere rispettati i propri diritti procedurali. Resta ora da vedere se l’impostazione del Tribunale verrà confermata dalla Corte di Giustizia dell’UE, qualora la Società decidesse di impugnare la sentenza in commento.

Roberta Laghi
--------------------------------------------------------------------------

Aiuti di Stato e tax rulings – Il Tribunale dell’Unione europea si pronuncia sui ricorsi avverso le decisioni della Commissione adottate nei confronti di FCA e Starbucks

Il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha adottato due sentenze di segno opposto relativamente ai ricorsi proposti da Fiat Chrysler Finance Europe (FCF), da un lato, e, dall’altro, Starbucks Corp. e Starbucks Manufacturing Emea BV (congiuntamente, SMBV), respingendo il primo e accogliendo il secondo.

FCF e SMBV avevano concluso ciascuna un c.d. Advance Pricing Agreement (APA) con l’amministrazione, rispettivamente, del Lussemburgo e dei Paesi Bassi (in cui hanno la sede sociale). Si trattava di c.d. Tax rulings diretti a concordare anticipatamente la metodologia di calcolo applicabile all’allocazione di profitti risultanti dalle transazioni infragruppo, con il beneficio di una maggiore prevedibilità del carico fiscale. La Commissione europea, con le due decisione impugnate, aveva individuato nell’APA stesso una misura selettiva attraverso cui i due Stati in discorso avrebbero conferito un indebito vantaggio economico qualificabile come aiuto di Stato a FCF e SMBV, imponendo in entrambi i casi il recupero dalle società di una somma pari alla differenza tra quanto versato ai sensi dell’APA e quanto sarebbe dovuto essere stato versato secondo i calcoli della Commissione.

Centrale rispetto alle sentenze in discorso risulta la nozione di vantaggio conferito alla società che ne è destinataria. Nel caso della decisione indirizzata a FCF (la Decisione FCF), la Commissione ha individuato all’interno dell’APA un errore nell’applicazione delle metodologie di calcolo comunemente accettate, dimostrando che il risultato ottenibile attraverso l’applicazione classica della metodologie in parola sarebbe risultata molto meno vantaggiosa per FCF rispetto all’applicazione “modificata” concordata con lo Stato del Lussemburgo; di conseguenza, avendo individuato un vantaggio selettivamente concesso a FCF attraverso l’APA, la Decisione FCF è stata confermata dal Tribunale.

Per converso, nel caso della decisione indirizzata a SMBV (la Decisione SMBV) il Tribunale ha ritenuto che la Commissione, pur avendo ben individuato un errore nell’applicazione della metodologia di calcolo prescelta dalle parti dell’APA, non ha prodotto una dimostrazione sufficiente dell’effettivo vantaggio economico che da tale errore di calcolo sarebbe derivato per SMBV. Il Tribunale, pertanto, ritenendo che la dimostrazione dell’inesattezza del calcolo non risulti sufficiente, da sola, a giustificare la presunzione che la misura abbia conferito un vantaggio al destinatario, ha annullato la Decisione SMBV.

Le due sentenze in discorso prendendo direzioni opposte l’una rispetto all’altra sembrano voler definire precisi limiti per la revisione degli APA dalla Commissione. In particolare, se, da un lato, la sentenza relativa alla Decisione FCF conferma che gli APA non sfuggono alla disciplina sugli aiuti di Stato e possono essere dichiarati incompatibili dalla Commissione, dall’altro la sentenza relativa alla Decisione SMBV afferma che l’onere della prova a carico della Commissione non è, in questo caso, indebolito: rimane necessario dimostrare, oltre all’eventuale mancanza di accuratezza dell’APA contestato, anche in concreto il vantaggio che ha procurato al contribuente che lo stipula.

Riccardo Fadiga
--------------------------------------------------------------------------

Intese e mercato dei derivati sui tassi di interesse – Il Tribunale dell’Unione europea ha parzialmente accolto il ricorso presentato dal Gruppo HSBC e ha annullato per difetto di motivazione la sanzione di oltre €33 milioni imposta dalla Commissione

Con la sentenza dello scorso 24 settembre, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalle società HSBC Holdings plc, HSBC Bank plc e HSBC France (di seguito congiuntamente il Gruppo HSBC o le Ricorrenti) avverso la decisione AT.39914-Euro Interest Rate Derivatives (la Decisione) (già oggetto di commento in questa Newsletter) adottata dalla Commissione europea (Commissione) in data 7 dicembre 2016. Nella Decisione il Gruppo HSBC era stato destinatario di una sanzione complessiva di circa €33 milioni per aver posto in essere – insieme al Gruppo Barclays, al Gruppo Crédit Agricole, al Gruppo Deutsche Bank, al Gruppo JP Morgan e, infine, al Gruppo RBS – una condotta concertativa unica e continuata, costituente una restrizione per oggetto contraria al dettato normativo dell’articolo 101 TFUE.

Con la Decisione in questione, la Commissione ha stabilito l’infrazione sarebbe durata complessivamente tra il 29 settembre 2005 e il 30 maggio 2008 mentre la partecipazione del Gruppo HSBC sarebbe avvenuta dal 12 febbraio 2007 al 27 marzo 2007. Scopo precipuo dell’intesa – la quale si sarebbe articolata in continui scambi di informazioni e accordi di natura bilaterale tra le parti coinvolte – sarebbe stato la manipolazione del mercato dei derivati sui tassi di interesse in Euro (EIRD) collegati al c.d. ‘Euribor’ (Euro Interbank Offered Rate) e/o all’EONIA (Euro Over-Night Index Average).

Ciò premesso, i motivi di ricorso su cui le Ricorrenti hanno basato la loro impugnativa mirano all’annullamento della Decisione nelle parti in cui: (i) ha stabilito l’esistenza di una intesa avente ad oggetto la distorsione di normali meccanismi concorrenziali sottesi alla quotazione degli EIRD; e (ii) ha determinato l’ammontare della sanzione irrogata.

Con particolare riguardo al primo motivo di ricorso le Ricorrenti hanno, in particolare, (a) contestato alla Commissione di aver correttamente accertato l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale per oggetto; e (b) sostenuto che la Commissione avrebbe errato nel ritenere che il Gruppo HSBC abbia partecipato ad una intesa unica e continuata, considerandola responsabile anche per la condotta perpetrata dalle altre banche coinvolte. Per quanto concerne il punto (a), il Tribunale, rigettando il motivo, ha confermato la correttezza del ragionamento della Commissione sul tema, riconoscendo che la manipolazione dei tassi d’interesse avvenuta il 19 marzo 2007 rientrasse tra le fattispecie di violazione della concorrenza per oggetto. Allo stesso tempo, il Tribunale ha accolto la doglianza presentata dalle Ricorrenti secondo cui la Commissione avrebbe erroneamente ritenuto esistente uno scambio di informazioni – avente ad oggetto le varie posizioni di trading adottate – asseritamente avvenuto tra i trader del Gruppo HSBC e quelli delle altre parti sanzionate. In relazione al punto (b), invece, il Tribunale ha parzialmente accolto le argomentazioni avanzate dalle Ricorrenti e ha stabilito che l’effettiva partecipazione del Gruppo HSBC all’intesa anticoncorrenziale in esame può essere ascritta esclusivamente agli eventi relativi e strettamente collegati alla manipolazione effettivamente avvenuta in data 19 marzo 2007 e alle condotte dalle altre parti adottate a tal riguardo.

Con il secondo motivo di ricorso, tra le altre cose, le Ricorrenti hanno contestato il ragionamento nonché il modello di calcolo su cui la Commissione ha basato la determinazione della summenzionata sanzione imposta al Gruppo HSBC. Le Ricorrenti hanno, in particolar modo, contestato alla Commissione la determinazione di un fattore di riduzione pari al 98,849% e, soprattutto, di non aver fornito una sufficiente spiegazione tecnica a suo supporto. In relazione a tale punto, il Tribunale ha riconosciuto il ruolo fondamentale del suindicato coefficiente di riduzione ogniqualvolta la Commissione decida di calcolare la sanzione applicabile partendo da un modello di tipo numerico (in questo caso basato sui flussi di cassa percepiti a titolo degli EIRD). Di conseguenza, il Tribunale ha stabilito che è di fondamentale importanza che la decisione sanzionatoria ricomprenda tutti gli elementi atti ad assicurare alle società interessate (e, successivamente, la Tribunale stesso) di comprendere appieno i passaggi logico-matematici che hanno condotto la Commissione alla determinazione del coefficiente di riduzione in esame. Il Tribunale ha, quindi, accolto tale parte del secondo motivo di ricorso e ha dichiarato che la Decisione non ha fornito la spiegazione necessaria concernente la determinazione del coefficiente di riduzione. Per tale ragione, quindi, ha annullato l’ammenda per mancanza di motivazione.

La sentenza in esame risulta essere particolarmente rilevante in quanto ricorda gli oneri probatori e logico-argomentativi – specificamente in tema sanzionatorio – che devono essere soddisfatti dalla Commissione. Anche in questo caso, resta da vedere se la Corte confermerà tale approccio in esito a una probabile impugnazione da parte della Commissione.

Luca Feltrin
-----------------------------------------------------------------------------------

Diritto della concorrenza Italia / Intese e settore del vending – Il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto l’appello proposto da cinque società attive nel settore della vending, nonché dall’associazione di categoria Confida

Con le sentenze pubblicate il 2 settembre, il Consiglio di Stato (CdS) ha parzialmente accolto l’appello presentato dalle società IVS Italia S.p.A.Sogeda S.r.l.Liomatic S.p.A.Gesa S.p.A. e Gruppo Argenta S.p.A., nonché dall’associazione di categoria Confida, avverso le sentenze del TAR Lazio (TAR) che avevano confermato il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con il quale era stata accertata l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza tra 14 società italiane attive nel settore della distribuzione automatica e semiautomatica di alimenti e bevande (c.d. vending), posta in essere dal 2008 fino al 2014.

Da un lato, il CdS ha rigettato gli appelli laddove ha confermato la definizione del mercato proposta dall’AGCM, nonché l’accertamento di un’intesa unica e complessa volta alla ripartizione del mercato e al coordinamento dei prezzi di vendita dei prodotti. Dall’altro, il CdS ha invece accolto le impugnazioni con riferimento alle modalità di calcolo della sanzione comminata.

Per quanto riguarda le società Gruppo Argenta S.p.A.; IVS Italia e Gesa S.p.A., secondo il CdS l’AGCM non aveva provato l’esistenza dell’aggravante consistente nel ruolo di direzione e coordinamento dell’intesa (c.d. cartel ring-leadership). Il CdS ha affermato che, luce degli orientamenti maturati in sede comunitaria, ai fini dell’applicazione della cosiddetta aggravante organizzativa è necessario, alternativamente, che l’impresa: i) “…abbia rappresentato una forza promotrice ed abbia avuto una particolare responsabilità nel suo funzionamento; ii) si sia incaricata di elaborare e di suggerire la condotta, dando impulso fondamentale all’esecuzione dell’accordo; iii) si sia impegnata al fine di assicurare la stabilità e la riuscita degli accordi illeciti; iv) si sia incaricata di organizzare gli incontri”. Al riguardo, il CdS ha affermato che, per fornire tale prova, non sia sufficiente il riferimento alla lista dei concorrenti amici, né quello ad alcune e-mail in cui si fa genericamente riferimento a riunioni svolte.

Con specifico riferimento al ricorso presentato da IVS Italia, il CdS ha statuito, inoltre, che l'AGCM aveva applicato senza adeguata motivazione la c.d. entry fee (ossia l’ammontare supplementare compreso fra il 15% e il 25% del valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione che una tantum viene aggiunto all’importo base per il fine di adeguare il livello di deterrenza).

Per quanto concerne le impugnazioni di Confida e Liomatic S.p.A., il CdS ha stabilito che l’AGCM non aveva motivato adeguatamente la decisione di non applicare circostanze attenuanti, non tenendo conto dell’effettiva condotta di collaborazione tenuta e in generale del ruolo complessivo svolto dai ricorrenti. Il CdS ha ordinato, pertanto, una riduzione – rispettivamente – del 10% e del 15% della sanzione irrogata.

Infine, nella sentenza relativa all’appello di Sogeda S.p.A, il CdS ha ritenuto che la sanzione irrogata non fosse conforme al principio di proporzionalità a causa del ruolo marginale della società alla partecipazione dell’infrazione, e ha sancito la riduzione della sanzione nella misura del 10%. Il CdS ha, inoltre, accertato l’adozione di un programma di compliance effettivo e concreto e ha ordinato all’AGCM di ridurre la sanzione tenendo conto di detto programma.

Le sentenze in commento sono sicuramente di notevole interesse in ragione dell’“attivismo” con cui i giudici di Palazzo Spada sono intervenuti sulla discrezionalità dell’AGCM nell’irrogazione di sanzioni in ambito antitrust. Anche laddove l’AGCM si sia attenuta ai criteri previsti dalle Linee Guida adottate in proposito, ciò (giustamente) non la rende immune da un controllo di ragionevolezza, coerenza e logicità nell’iter argomentativo e motivazionale da parte del Giudice Amministrativo.

Luigi Eduardo Bisogno
---------------------------------------------------------------------------