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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Abuso di posizione dominante e settore delle telecomunicazioni – Il Tribunale annulla in parte la decisione della Commissione relativa alle pratiche anticoncorrenziali nel mercato slovacco delle telecomunicazioni

Il Tribunale di Primo Grado dell’Unione europea (Tribunale) ha parzialmente accolto i ricorsi delle società Slovak Telekom e Deutsche Telekom avverso la decisione della Commissione europea (Commissione) che aveva sanzionato le società per condotte abusive nel settore delle telecomunicazioni nella Repubblica Slovacca.

Slovak Telekom (ST) è il principale operatore nel settore delle telecomunicazioni in Slovacchia, parte del gruppo riconducibile a Deutsche Telekom (DT) attiva a sua volta nel medesimo settore, nonché il maggior fornitore di accesso a internet a banda larga. ST è stata monopolista legale fino al 2000, anno a partire dal quale il settore è stato liberalizzato. A ST è stato quindi imposto l’obbligo di concedere agli operatori concorrenti l’accesso disaggregato alla rete locale per la fornitura di diversi servizi di telecomunicazione, a condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie.

In relazione a tali obblighi, nel 2014 la Commissione aveva concluso un procedimento antitrust sanzionando in solido ST e DT per condotte abusive poste in essere dall’agosto 2005 al dicembre 2010. Secondo la Commissione, le società avrebbero attuato una strategia di compressione dei margini (c.d. “margin squeeze”) nei confronti degli operatori concorrenti, praticando prezzi all’ingrosso per l’accesso alla banda larga tali da non permettere agli altri operatori di operare in concorrenza con ST, per via dei margini eccessivamente ridotti, se non negativi, rispetto ai prezzi praticabili al dettaglio. In aggiunta, ST avrebbe posto in essere un’altra serie di condotte ostacolanti, quali, tra le altre, la fornitura di informazioni insufficienti sulla disponibilità e le caratteristiche della rete, la previsione di requisiti e di procedure eccessivamente onerose nonché la richiesta di garanzie bancarie sproporzionate, sulle quali la valutazione operata da ST era eccessivamente discrezionale. A seguito dell’accertamento delle suddette condotte abusive, la Commissione aveva quindi imposto una sanzione di €38.838.000 congiuntamente ad entrambe le società, nonché un’ulteriore sanzione aggiuntiva a DT, pari a  €31.070.000, a titolo di recidiva (DT era già stata sanzionata per condotte simili) e per via dell’entità del suo fatturato.

A seguito di due separati ricorsi proposti dalle società sanzionate, il Tribunale si è ora espresso sulla vicenda confermando in gran parte la ricostruzione operata dalla Commissione, ribadendo la sussistenza di stringenti obblighi in capo all’ex monopolista, la cui rete tra il 2005 e il 2010 serviva il 75,7% delle abitazioni in Slovacchia, di concedere agli altri operatori concorrenti l’accesso alla rete a condizioni di equità tali da non determinare una compressione dei margini. Tuttavia, il Tribunale ha parzialmente annullato la decisione della Commissione in particolare con riguardo a due specifici motivi. In primis, il Tribunale ha rilevato che la Commissione, al fine di dimostrare la sussistenza della condotta di compressione dei margini, ha adottato un’analisi, anno per anno, basata sul criterio del c.d. equally efficient competitor, per valutare se un ipotetico operatore efficiente quanto ST avrebbe potuto replicare le condizioni offerte dall’ex monopolista. Con riguardo all’analisi per l’anno 2005, la Commissione aveva stabilito che, nonostante il fatto che per 4 mesi i margini fossero stati in realtà sufficientemente positivi, su base annuale un operatore concorrente non avrebbe potuto competere con ST, visti i margini negativi registrati negli altri mesi e in virtù del fatto che un periodo così breve non sarebbe stato rilevante per condizionare le scelte dei nuovi entranti, in un’ottica a lungo termine. Tuttavia, il Tribunale ha stabilito che la Commissione, posta la presenza di margini positivi nei 4 mesi in questione, avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza specifica di effetti escludenti nel medesimo periodo al fine di provare l’esistenza di una condotta di compressione dei margini, prova che invece la Commissione non ha fornito. Pertanto, il Tribunale ha ridotto (sebbene di poco) la sanzione nei confronti di ST, fissandola a €38.061.963.

Inoltre il Tribunale, sempre in punto di calcolo della sanzione, ha annullato la decisione della Commissione nella parte in cui calcola l’ammenda imposta a DT. Secondo il Tribunale, infatti, qualora la responsabilità della società controllante derivi esclusivamente da quella della controllata e se, come nel caso di specie, al fine di valutare la gravità dell'infrazione e di calcolare l’importo base dell'ammenda la Commissione si basa sul fatturato della controllata, la responsabilità della controllante potrà eccedere quella della controllata solo in presenza di fattori che caratterizzano individualmente il comportamento della prima, tali da giustificare l’applicazione di una maggiorazione. A tal riguardo, il Tribunale ha osservato che il semplice dato relativo al fatturato di DT, secondo la Commissione giustificativo – assieme alla recidiva – della sanzione più alta, non poteva essere considerato un elemento tale da riflettere il comportamento individuale tenuto da DT, e pertanto la Commissione non poteva considerarlo come elemento giustificativo di un importo superiore a fini dissuasivi. Lo stesso, invece, non si potrebbe dire sulla recidiva, la quale correttamente è stata qualificata come un fattore caratterizzante del comportamento individuale di DT e quindi giustificativo dell’applicazione di un’aggravante da imputare esclusivamente alla stessa. Pertanto, in considerazione di ciò, il Tribunale ha ricalcolato la sanzione comminata a DT, riducendola a €19.030.981.

Il Tribunale sembra pertanto porre un paletto all’uso, alle volte indiscriminato, che viene fatto della presunzione di responsabilità della madre per la condotta della figlia controllata interamente/quasi interamente, sottolineando che nei casi ove è solamente una responsabilità derivata, l’ammontare della sanzione per la madre non può eccedere quella della figlia per il solo fatto di avere un fatturato maggiore.

Leonardo Stiz
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Infrazioni antitrust e settore della c.d. Big Pharma – Il Tribunale UE riduce la maxi-sanzione irrogata dalla Commissione all’impresa farmaceutica Servier per aver sottoscritto accordi di pay-for-delay per ritardare l’ingresso di farmaci generici e per aver abusato della propria posizione dominante

Con la sentenza pubblicata lo scorso 12 dicembre, il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha annullato in parte la decisione della Commissione europea (Commissione) di sanzionare l’impresa farmaceutica Servier per aver sottoscritto con alcuni produttori di farmaci generici (Teva, Niche e la controllante di questa Unichem, Krka, Lupin e Matrix, attualmente Mylan Laboratories) una serie di accordi tesi a ritardare l’entrata sul mercato di farmaci generici per il controllo della pressione sanguigna alternativi al medicinale “Perindopril” di Servier.

Nella medesima pronuncia, il Tribunale ha altresì annullato la decisione della Commissione di contestare a Servier un abuso di posizione dominante, per aver acquistato a meri fini escludenti gli unici ritrovati tecnologici al tempo presenti sul mercato, mediante i quali era possibile sviluppare e produrre farmaci alternativi al Perindopril, in considerazione dell’errata definizione del mercato rilevante operata dalla Commissione.

Questi i fatti all’origine della controversia: Servier aveva cercato di estendere la tutela del brevetto del “Perindopril”, prossimo alla scadenza, mediante la registrazione di brevetti accessori che erano stati puntualmente contestati giudizialmente dai genericisti. Tali controversie sono state risolte in via amichevole da Servier mediante accordi transattivi, mediante i quali Servier si è impegnato a versare ai genericisti ingenti somme di denaro a fronte dell’impegno di questi a ritardare l’entrata sul mercato europeo (o in alcuni Stati membri) dei loro farmaci alternativi al “Perindopril” (c.d. accordi “pay-for-delay”), ovvero di astenersi dal contestare la validità dei brevetti di Servier. La Commissione ha ritenuto tali accordi delle intese restrittive per oggetto che avrebbero permesso a Servier di mantenere una rendita monopolistica per il “Perindopril” anche oltre l’originaria scadenza brevettuale.

Nella pronuncia in commento, il Tribunale ha in linea generale condiviso le valutazioni della Commissione, in considerazione del fatto che, al momento della sottoscrizione degli accordi transattivi, i produttori di farmaci generici rappresentassero dei concorrenti potenziali di Servier e che le somme di denaro che quest’ultimo si era impegnato a pagare rappresentassero degli incentivi offerti ai primi per ritardare il loro ingresso nel mercato. Secondo il Tribunale, un patent settlement può configurare un’intesa anticoncorrenziale di ripartizione del mercato nel caso in cui la ratio dell’impegno dei produttori di farmaci generici a non commercializzare i propri prodotti per un dato periodo di tempo e/o a non contestare la validità di un brevetto sia ravvisabile nell’incentivo finanziario offerto dal titolare del brevetto e non invece nel genuino riconoscimento della validità del brevetto in questione. Invero, una sottile distinzione.

In considerazione di ciò, e contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il Tribunale ha escluso che la transazione sottoscritta tra Servier e Krka, contenente un accordo di licenza sui brevetti di Servier a favore di Krka valido in 7 mercati comunitari a fronte dell’impegno di quest’ultimo a rispettare i brevetti in altri mercati e di vendere alcuni dei propri brevetti a Servier, potesse considerarsi un’intesa anticoncorrenziale, per oggetto o per effetto. In particolare, il Tribunale ha in primo luogo negato la sussistenza di un incentivo offerto al genericista a non immettere nel mercato i propri farmaci in concorrenza con Servier, considerando che le royalty dovute da Krka a Servier in virtù dell’accordo di licenza fossero state determinate a condizioni normali di mercato. Inoltre, il Tribunale ha anche contestato le valutazioni condotte dalla Commissione in merito ai presunti effetti anticoncorrenziali dell’accordo, non avendo questa adeguatamente dimostrato se, in assenza dell’accordo, Krka sarebbe stata comunque in grado di entrare nel mercato in questione e se il procedimento giudiziario avviato da questo nei confronti di Servier avrebbe plausibilmente accelerato il venir meno della validità del brevetto controverso.

Il Tribunale ha invece confermato la violazione dell’art. 101 TFUE da parte di Servier con riferimento ai patent settlement conclusi con le altre imprese farmaceutiche, riducendo tuttavia del 30% l’ammontare della sanzione irrogata a Servier in relazione all’accordo con Matrix, in quanto in parte connesso con quello stipulato con Niche e Unichem, per tenere conto delle parziali sovrapposizioni.

Per quanto riguarda l’asserito abuso di posizione dominante contestato dalla Commissione a Servier, il Tribunale ha annullato in toto la decisione della Commissione relativa a tale infrazione, avendo questa eccessivamente ristretto il mercato rilevante oggetto di indagine, ravvisando in capo a Servier la sussistenza di una posizione dominante che il Tribunale ha ritenuto di fatto inesistente. Secondo il Tribunale, la Commissione avrebbe errato nel pretendere di circoscrivere il mercato rilevante a quello della singola molecola “Perindopril”, non avendo tenuto debitamente in considerazione le peculiari caratteristiche delle dinamiche concorrenziali nel settore farmaceutico che, a differenza di altre industrie, non si basano necessariamente sul prezzo e, conseguentemente, la propensione dei pazienti curati con “Perindopril” a ricorrere ad altri medicinali appartenenti alla medesima classe terapeutica.

Con la pronuncia in commento il Tribunale sembra quindi suggerire un nuovo e decisamente più attivo approccio da parte dei giudici in sede di revisione delle decisioni delle autorità antitrust, richiedendo alla Commissione il rispetto di standard economici più rigidi nella valutazione dell’illecito e del contesto economico di riferimento, soggette ad un sindacato del giudice sempre più forte, effettivamente esteso anche a questioni “tradizionalmente” rientranti nella discrezionalità tecnica dell’autorità antitrust, quali ad esempio quelle relative alla definizione di mercato.

Martina Bischetti
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Risarcimento del danno e diritti fondamentali – La Corte di Giustizia annulla la sentenza con cui era stato riconosciuto in primo grado dal Tribunale UE il risarcimento del danno per le spese di garanzia bancaria sostenute da varie imprese per una violazione del termine ragionevole di giudizio

Con le diverse sentenze adottate nelle cause riunite C-174/17 P e C-222/17 P (con riguardo a Plàsticos Espanoles SA e Armando Alvarez SA), C‑150/17 P (Kendrion), C‑138/17 P e C‑146/17 P (Gascogne Sack Deutschland GmbH eGascogne SA), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) ha parzialmente annullato le sentenze del Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) con le quali l’Unione europea (UE) era stata condannata a pagare un’indennità alle suddette società per il danno materiale subito da ciascuna di esse a seguito della violazione del termine ragionevole di durata dei procedimenti davanti al Tribunale.

In particolare, nel 2005 le società erano state sanzionate dalla Commissione europea (la Commissione) per aver partecipato ad un’intesa in violazione dell’art. 101 TFUE nel settore dei sacchi industriali. Nel novembre 2011, il Tribunale respingeva i ricorsi delle società avverso la decisione (i Procedimenti). Con le sentenze del 2013, la CdG confermava le sentenze del Tribunale (e, conseguentemente, le sanzioni inflitte dalla Commissione). Tuttavia, la CdG dichiarava che la durata dei Procedimenti era stata eccessivamente lunga, con la conseguenza che le società interessate potevano proporre ricorsi diretti al risarcimento degli eventuali danni subìti a causa del ritardo nel trattamento delle cause.

Pertanto, tra il 2014 e il 2015, le società adivano al Tribunale proponendo ricorso ai sensi dell’art. 268 TFUE contro la UE per il pregiudizio (asseritamente) subito a causa dell’eccessiva durata dei Procedimenti. Tale pregiudizio sarebbe consistito nel pagamento di spese di garanzia bancaria per il (futuro) pagamento delle sanzioni comminate dalla Commissione nel corso del periodo corrispondente al superamento del termine ragionevole per la durata dei Procedimenti.

Il Tribunale aveva riconosciuto il risarcimento del danno, in quanto, da un lato, nel momento in cui le società avevano costituito la garanzia bancaria, la violazione del termine ragionevole di giudizio non era prevedibile e avrebbero potuto legittimamente attendersi che i ricorsi fossero esaminati entro un termine ragionevole; dall’altro, il superamento del termine ragionevole di giudizio si era verificato dopo la scelta delle società di costituire la garanzia bancaria.

Tuttavia, la CdG, nella sentenza in commento, ha affermato come tale argomentazione sarebbe rilevante solo nella misura in cui la costituzione (e il mantenimento) di una garanzia bancaria avesse carattere obbligatorio. Al contrario, come riconosciuto dalla CdG, tale scelta rientra nella libera discrezionalità dell’impresa interessata alla luce dei propri interessi finanziari. Infatti, “…nessuna disposizione del diritto dell’Unione impedisce a tale impresa di porre fine, in qualsiasi momento, alla garanzia bancaria che essa ha costituito e di pagare l’ammenda inflitta, quando, alla luce dell’evoluzione delle circostanze rispetto a quelle esistenti al momento della costituzione di detta garanzia, detta impresa consideri tale opzione più vantaggiosa per se stessa…”.

Proprio con riguardo a tale ultimo punto, la CdG, con un ragionamento a dire il vero un po’ contorto e che verosimilmente potrebbe supportare la conclusione opposta, evidenzia come ciò potrebbe appunto verificarsi quando, nel corso di un giudizio davanti al Tribunale, l’impesa ritiene che la sentenza verrà pronunciata in un momento successivo a quello (inizialmente) previsto e che, pertanto, il costo della garanzia sarà superiore a quello preventivato al momento della costituzione della garanzia.

Di conseguenza, la CdG afferma come la violazione del termine ragionevole di giudizio nei Procedimenti non può essere la causa determinante del danno subito dalle società a causa del pagamento di spese di garanzia bancaria nel periodo successivo a detto termine. Infatti, secondo la CdG “…tale danno è il risultato della scelta personale compiuta [dalle società] di mantenere la garanzia bancaria nel corso dell’intero procedimento in dette cause, nonostante le conseguenze finanziarie che ciò comportava…”.

Alla luce di tali considerazioni, la CdG ha ritenuto che il Tribunale avesse commesso un errore di diritto nell’interpretazione della nozione di “nesso causale” e ha pertanto annullato la sentenza del Tribunale nella parte in cui riconosceva il risarcimento del danno alle società.

Infine, seppur respinto dalla CdG, merita menzione uno dei motivi di ricorso di Kendrion. Secondo tale società, l’impugnazione dell’UE avverso la sentenza del Tribunale era integralmente irricevibile in quanto, tra le altre cose, vi sarebbe un conflitto di interessi derivante dal fatto che la CdG (che effettivamente rappresentava nelle cause in commento l’UE) aveva sostanzialmente deciso di chiamare se stessa a pronunciarsi sulla causa in commento, con un evidente conflitto di interessi. Pertanto, l’impugnazione avrebbe violato l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantisce il diritto a un procedimento dinanzi a un giudice imparziale e indipendente.

Sul punto, la CdG ha evidenziato come i ricorsi per risarcimento danni, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, devono essere diretti contro l’UE, che dev’essere rappresentata dall’istituzione dell’Unione il cui comportamento ha asseritamente cagionato il danno lamentato. Pertanto, nell’ambito dei ricorsi in parola, “…occorre distinguere tra, da un lato, l’istituzione «Corte di giustizia dell’Unione europea», che, in quanto istituzione dell’Unione, si considera essere all’origine del danno lamentato e possiede quindi la qualità di convenuta in primo grado e, eventualmente, di ricorrente in sede di impugnazione e, dall’altro, il Tribunale e la Corte, che sono gli organi giurisdizionali che la compongono, competenti a conoscere, rispettivamente, di tali ricorsi…”.

Pertanto, che l’Unione europea fosse rappresentata dalla CdG e che l’organo giurisdizionale chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione fosse la CdG “…non deriva da una scelta della ricorrente, ma dalla stretta applicazione delle norme del diritto dell’Unione in materia…”. Inoltre, secondo la CdG, con un ragionamento formalistico che sembra ben inserirsi nel solco di chi vede una eccessiva burocratizzazione dell’ordinamento europeo, non vi sarebbe alcuna violazione dei diritti fondamentali, in quanto la decisione dell’UE, rappresentata dalla CdG, di proporre un’impugnazione, come nel caso in commento, contro una sentenza emessa dal Tribunale nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni spetta esclusivamente al presidente di tale istituzione. La CdG precisa che dato che “…il presidente di tale istituzione è anche il presidente della Corte in quanto organo giurisdizionale, investita di una simile impugnazione, egli non interviene nel trattamento giurisdizionale della causa, ed è sostituito nelle sue funzioni dal vicepresidente…”.

Il ragionamento della CdG, sebbene in termini di diritto positivo appare corretto, non sarà esente da critica in particolare tutte le volte che la CdG dovrò pronunciarsi su vicende nelle quali conflitti di interessi saranno al centro dell’impugnazione avanti alla stessa e, inevitabilmente, il metro di giudizio applicato nella sentenza in commento verrà richiamato quale parametro per sostenere una sufficiente separazione dei ruoli.

Jacopo Pelucchi
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Tutela del consumatore e PCS / Influencer e pratiche scorrette ingannevoli – L’AGCM chiude la seconda moral suasion sugli influencer e pubblicità occulta su social media e avvia un procedimento istruttorio per possibili promozioni occulte nei confronti di Alitalia e AEFFE

Con il comunicato pubblicato l’11 dicembre scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha dichiarato di avere concluso la seconda moral suasion relativa al fenomeno del c.d. influencer marketing sui social media avviata lo scorso agosto.

Come si ricorderà (si veda sul punto la Newsletter del 3 settembre 2018), l’AGCM aveva inviato lettere di c.d. moral suasion agli influencer e ai titolari dei marchi utilizzati dagli stessi, ricordando come la pubblicità, anche se effettuata tramite comunicazioni sui social media, deve essere chiaramente riconoscibile, alla luce della portata generale del divieto di pubblicità occulta. Pertanto, gli influencer non possono lasciare credere al proprio pubblico (i c.d. followers) di agire “…in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand…”.

Secondo quanto riportato dall’AGCM nel comunicato, l’intervento di moral suasion ha avuto un esito largamente positivo, con gli influencer che sembrerebbero avere recepito le indicazione dell’AGCM e hanno utilizzato più frequentemente le apposite avvertenze relativamente alla presenza di contenuti pubblicitari nei post pubblicati sul proprio profilo Instagram. Come già rilevato durante la prima moral suasion in tale settore (avviata nel luglio 2017 e conclusa nel dicembre dello stesso anno), tali avvertenze consistono nell’utilizzare nei propri post, hashtag quali #ADV, #advertising, #pubblicità oppure, nel caso in cui il bene fosse fornito dal brand stesso (anche se a titolo gratuito), #prodottofornitoda.

L’AGCM rileva altresì come in alcuni casi gli influencer abbiano scelto di rimuovere quegli elementi grafici (come il tag che rinvia direttamente al profilo Instagram del brand) idonei ad esprimere un effetto pubblicitario.

Tuttavia, in un contesto riconosciuto dalla stessa AGCM come positivo, a seguito di una segnalazione da parte dell’Unione Nazionale di Consumatori, l’AGCM ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti di Alitalia Società Aerea Italiana s.p.a. in A.S. e AEFFE s.p.a. (società riconducibile alla stilista Alberta Ferretti, già oggetto della prima moral suasion) nonché di alcuni influencer, avente ad oggetto la (possibile) diffusione, tramite social media, di pubblicità non riconoscibile come tale.

In particolare, da quanto risulta dal comunicato, ciò che verrebbe contestato sarebbe la diffusione sul profilo Instagram di vari influencer di post nei quali appare inquadrato il logo Alitalia impresso sui capi di abbigliamento a marchio Alberta Ferretti indossati dagli stessi influencer.

Nell’attesa di sapere come si concluderanno tali procedimenti istruttori, l’AGCM ha ricordato che continuerà a monitorare il fenomeno e adotterà le misure valutate di volta in volta più opportune per contrastarlo.

Jacopo Pelucchi
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Comparatori online e tutela del consumatore – Il Bundeskartellamt evidenzia vari profili di criticità

Lo scorso 12 dicembre l’autorità antitrust tedesca (Bundeskartellamt)  – nell’esercizio dei poteri in materia di tutela dal consumatore che le sono stati recentemente attribuiti – ha pubblicato i risultati preliminari della propria indagine conoscitiva in materia di comparatori online.

Tale indagine ha avuto ad oggetto circa 150 siti attivi in svariati settori, dalle utilities ai viaggi aerei, dalle polizze assicurative ai servizi di ospitalità. A valle di tale indagine il Bundeskartellamt ha identificato, seppure senza prendere una posizione definitiva, alcune problematiche essenzialmente consistenti nella mancata trasparenza nei confronti dei consumatori in relazione a determinate condotte. I soggetti interessati potranno depositare le proprie osservazioni in proposito entro il 4 febbraio 2019, e la relazione definitiva dell’Autorità seguirà nel corso del 2019.

Fin d’ora e in un’ottica di compliance è tuttavia interessante (anche per soggetti attivi al di fuori della Germania)  prendere nota delle condotte su cui si è focalizzato il Bundeskartellamt, e in particolare:

-     la possibilità di accedere a un ranking privilegiato in ragione del pagamento al comparatore di un corrispettivo;

-     la mancata trasparenza circa il fatto che il comparatore non fornisca un quadro esaustivo dei beni e servizi oggetto di comparazione, coprendo talvolta meno del 50% del mercato;

-     la promozione di condizioni economiche particolarmente favorevoli cui è però pressoché impossibile accedere in pratica, ovvero la promozione di condizioni solo asseritamene esclusive;

-     la mera riproposizione di risultati altrui in luogo dei risultati di una comparazione effettuata dal sito in questione.

In attesa dei risultati definitivi dell’indagine tedesca, quelli sopra evidenziati sono sicuramente dei punti d’attenzione da verificare e tenere in conto in un’ottica di contenimento del rischio.

Ermelinda Spinelli