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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Italia / Regolazione e diritti calcistici – L’AGCM autorizza l’assegnazione dei diritti TV per la Serie A a favore di Mediapro da parte della Lega

L’assegnazione dei diritti audiovisivi per il territorio italiano relativi al Campionato di Serie A per il triennio 2018/2021 (i Diritti) disposta da parte della Lega Nazionale Professionisti Serie A (Lega) a favore di Mediapro Italia Srl (Mediapro) è conforme alle disposizioni contenute nel D.lgs. 9/2008 (Decreto Melandri), il quale fornisce il quadro giuridico di riferimento in materia di titolarità e commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi.

Questo è quanto stabilito dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nella propria decisione pubblicata lo scorso 15 marzo, con la quale ha autorizzato l’assegnazione dei diritti televisivi calcistici a favore della società Mediapro, risultata aggiudicataria all’esito della procedura competitiva riservata dalla Lega agli intermediari indipendenti, la quale era stata avviata stante il mancato soddisfacimento da parte degli operatori di comunicazione delle condizioni economiche richieste dalla Lega.

L’AGCM ha ritenuto corrette le valutazioni condotte dalla Lega in merito all’assegnazione dei Diritti in commento, posto che detta “…assegnazione […] è avvenuta dopo che gli operatori della comunicazione sono stati posti nella condizione di competere per l’acquisizione dei [D]iritti…”, e considerato che “…per quanto concerne il territorio italiano, Mediapro non [è] un soggetto collegato o controllato da un operatore di comunicazione…”, essendo pertanto legittimato a prendere parte alla procedura competitiva riservata dalla Lega agli intermediari indipendenti.

L’AGCM ha ritenuto la verifica territoriale delle attività dell’intermediario indipendente idonea a garantire, da un lato, l’obiettiva assenza di rischi di natura preclusiva nel territorio nazionale dove sono venduti i diritti audiovisivi e, dall’altro, la necessità di estendere il novero dei soggetti che possono partecipare alla procedura competitiva, ammettendo altresì società legate ad operatori della comunicazione che però operano in territori diversi da quello italiano, ampliando in tal modo il confronto competitivo a vantaggio ultimo dei consumatori.

L’AGCM ha inoltre svolto talune osservazioni in merito alle caratteristiche soggettive dell’intermediario indipendente che Mediapro dovrà rispettare e ai principi cui lo stesso dovrà conformarsi nello svolgimento delle proprie attività connesse ai diritti assegnati. Mediapro dovrà infatti svolgere un’attività di intermediazione di diritti audiovisivi, rivendendo i diritti ad altri soggetti con modalità eque, trasparenti e non discriminatorie. Secondo l’AGCM, con un approccio “curioso” stante la missione istituzionale che la stessa è tenuta a svolgere, Mediapro non potrà invece avviare iniziative che determinino l’insorgere di rapporti di concorrenza con gli operatori della comunicazione. Mediapro non potrà pertanto svolgere attività che comportino l’assunzione di responsabilità editoriale nel territorio italiano per la durata della licenza.

L’AGCM si è riservata la facoltà di intervenire nuovamente, giudicando le condotte di Mediapro e della Lega ai sensi della normativa antitrust, laddove tali operatori non rispettino le indicazioni dell’AGCM con riferimento alle attività dell’intermediario indipendente e alla vendita dei diritti calcistici.

Martina Bischetti
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Tutela del consumatore / Pubblicità ingannevole e fibra ottica – L’AGCM sanziona Telecom Italia per 4,8 milioni di euro per pubblicità ingannevole sulla fibra ottica

Con il provvedimento pubblicato il 16 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato Telecom Italia S.p.A. (TI) per un importo complessivo pari a 4,8 milioni di euro per alcune pubblicità ingannevoli nel settore della fibra ottica. In particolare, TI avrebbe utilizzato, in relazione ad alcune campagne pubblicitarie (TIM SMART FIBRA”, “TIM SMART FIBRA PLUS”, “TIM SMART FIBRA E MOBILE” e altre offerte similari) (le Offerte), claim che enfatizzavano l’utilizzo integrale ed esclusivo della fibra ottica e/o il raggiungimento delle massime prestazioni in termini di velocità e affidabilità della connessione, non avendo adeguatamente fornito ai consumatori informazioni relative alla caratteristiche della fibra ottica, nonché sulle limitazioni e reali potenzialità del servizio offerto. Inoltre, l’AGCM ha ritenuto che TI non avesse dato adeguata visibilità, nelle offerte commerciali relative alla connettività in fibra, al fatto che la massima velocità pubblicizzata fosse ottenibile solo con l’attivazione di una opzione aggiuntiva a pagamento (dopo un primo periodo di gratuità).

Le Offerte, trasmesse su diversi canali di comunicazione (cartellonistica, il sito web di TI, opuscoli, spot televisivi), presenterebbero, secondo l’AGCM, diversi profili di ingannevolezza. Ad esempio, con riguardo in particolare al sito web, TI “…dopo aver catturato l’attenzione dei consumatori, utilizzando appositi claim volti a esaltare le massime prestazioni della fibra ottica e a sottolineare la validità delle relative offerte su tutto il territorio nazionale…”, avrebbe fornito, tramite annotazioni “…poco visibili e paragrafi non agevolmente rintracciabili…”, ai potenziali clienti informazioni parziali e limitate circa i limiti tecnici delle Offerte. Simili censure sono state rivolte anche alle Offerte pubblicizzate sugli altri canali di comunicazioni.

Inoltre, l’AGCM ha ritenuto che TI non avrebbe chiaramente indicato che la massima velocità di connessione fosse ottenibile solo a seguito dell’attivazione di una promozione che rimaneva gratuita esclusivamente per un periodo limitato nel tempo. In particolare, sulla cartellonistica, gli opuscoli (c.d. marketing below the line) e gli spot, la pubblicità rimandava al sito web dell’operatore che, secondo l’AGCM, risultava “…oltre che poco visibile, in quanto rappresentato, con caratteri minuscoli, in testi che scorrevano molto velocemente in sovrimpressione o in note che apparivano sullo schermo per pochi secondi – anche alquanto generico…”. Secondo l’AGCM, per tali motivi, la pubblicità non costituiva un alert adeguato tale da portare il consumatore ad informarsi sul tipo di servizio e le relative limitazioni in termini di potenzialità e/o funzionalità della connessione.

Secondo l’AGCM, le pratiche sopra descritte avrebbero costituito una condotta in violazione degli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo, in quanto TI avrebbe “…omesso o non adeguatamente evidenziato le informazioni sulle caratteristiche dell’offerta in fibra, i limiti geografici di copertura delle varie soluzioni di rete, le differenze di servizi disponibili e di performance in funzione dell’infrastruttura utilizzata per offrire il collegamento in fibra…”. Pertanto, il consumatore, a causa di tale (asserita) condotta omissiva e ingannevole, a fronte dell’uso del termine onnicomprensivo “fibra”, non sarebbe stato messo nelle condizioni di conoscere elementi indispensabili al fine di effettuare una scelta consapevole sull’acquisto dell’offerta in fibra.

Infine, l’AGCM ha sottolineato il contesto in cui si inseriscono le condotte in oggetto, laddove la crescente offerta di servizi digitali sta cambiando radicalmente e rapidamente i modelli di consumo e le esigenze degli utenti. L’uso di tali servizi (come confermato dalla strategia comunitaria “Gigabit Society”) richiede una sempre maggiore qualità e rapidità di risposta della rete del cui livello “…il consumatore deve essere reso, adeguatamente, edotto unitamente alle tipologie di servizi di cui potrà beneficiare per ciascuna offerta di connettività a internet pubblicizzata dagli operatori…”.

Dopo le recenti (e ancora in corso) istruttorie per possibili pratiche collusive (si veda la Newsletter del 13 febbraio 2017) e abuso di posizione dominante (si veda la Newsletter del 10 luglio 2017), l’AGCM si è quindi concentrata ancora una volta sulle condotte di TI nel settore della fibra ottica.

Jacopo Pelucchi
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Antitrust ed economia digitale – Pubblicità online e fake news di nuovo nell’occhio del ciclone delle autorità antitrust

L’onda di interesse creatasi intorno ai giganti del web ed al mondo della pubblicità e dell’informazione online non sembra arrestarsi: lo scorso 13 marzo è stata la volta dell’Associazione europea per la tutela dei consumatori (BEUC), che ha lanciato un nuovo input alla Commissione europea (Commissione), chiedendo di aprire un’indagine conoscitiva (ai sensi dell’articolo 17 del Regolamento 1/2003/CE) sulla pubblicità online e sui modelli di business adottati dalle piattaforme digitali. In particolare, il cuore della richiesta avanza dal BEUC sembra essere la verifica di possibili distorsioni delle dinamiche di mercato create dalle tecniche di personalizzazione “dell’esperienza dell’utente” sul web e dalla eventuale diffusione delle così dette “fake news”.

In particolare, a detta del BEUC sarebbero due le principali aree in cui sarebbe opportuno un approfondimento sotto il profilo antitrust: (i) le piattaforme con rilevante potere di mercato potrebbero escludere altre fonti di informazione (come ad esempio gli altri media) dando preferenza ai propri servizi (ad esempio, aggregatori di notizie e “news feed”); e (ii) i modelli di business basati sulla “monopolizzazione dell’attenzione dei consumatori” potrebbero riuscire a “trattenerli” verso i soli contenuti che aiutano ad aumentare i ricavi (per i medesimi operatori) ottenuti grazie alla pubblicità.

Tale iniziativa è solo l’ultima punta dell’iceberg rispetto ad una serie di “attività” che recentemente stanno interessando gli operatori attivi sul web: lo scorso 6 marzo ad esempio l’autorità per la concorrenza francese ha pubblicato i risultati della propria indagine di mercato sulla pubblicità online in cui, sotto il profilo antitrust, sono state rilevate in particolare cinque criticità: (i) l’esistenza di possibili strategie che implicano vendite abbinate o bundling, in particolare in merito all’associazione di servizi di intermediazione e servizi di profilazione del comportamento di un insieme definito di utenti per costruire campagne pubblicitarie (targeting data); (ii) i possibili effetti così detti “di leva”, ossia la facoltà per alcuni operatori di sfruttare il loro potere di mercato in determinati mercati per espandersi in mercati contigui (come ad esempio il settore dei media audit e dei media agency); (iii) i possibili trattamenti discriminatori lamentati da alcuni editori ed intermediari; (iv) i possibili ostacoli all’interoperabilità dei dispositivi/sistemi utilizzati nel settore dell’intermediazione pubblicitaria, che potrebbero influenzare le condizioni di interconnessione tra diversi operatori/contenuti; (v) le possibili restrizioni alla raccolta e accesso a determinati dati, per cui alcuni grandi stakeholder apparentemente rifiuterebbero di integrare le informazioni tracciate durante le campagne pubblicitarie e quelle ottenute sulle c.d. “impressioni” del pubblico. Alcuni editori hanno finanche ritenuto di essere soggetti a limitazioni relative all’accesso ai dati generati dai propri servizi e distribuiti su altre piattaforme.

Sulla scia dei risultati di tale indagine, peraltro, la medesima autorità ha recentemente annunciato la possibile apertura di un’indagine nei confronti di Google e Facebook nei prossimi mesi. Anche l’autorità garante della concorrenza tedesca recentemente ha reso noto di stare analizzando – nel contesto del procedimento aperto nel 2016 per un presunto abuso di posizione dominante di Facebook nel mercato dei social network, in cui lo scorso dicembre 2017 è stata inviata la comunicazione degli addebiti all’impresa indagata – anche potenziali pratiche di prezzi eccessivi (ove è il valore dei dati trasmessi dagli utenti ad essere monetizzato). Non solo: sotto diverso profilo, lo scorso 15 marzo l’autorità spagnola della privacy ha sanzionato Whatsapp per aver condiviso con Facebook i dati dei propri utenti senza un loro consenso effettivo ed informato (a valle dell’acquisizione di Whatsapp da parte di Facebook lo scorso 2014), come già fatto lo scorso anno in modo simile dall’AGCM. Ed anche in Belgio, recentemente, una corte nazionale ha intimato a Facebook l’interruzione della raccolta dei dati degli utenti, pena una multa da 250mila euro al giorno, fino a un tetto di 100 milioni, ritenendo che detta piattaforma  “…non inform[i] in modo sufficiente sulla raccolta delle nostre informazioni, sul tipo di dati che raccoglie, su ciò che fa con quei dati e per quanto tempo li memorizza…”.

L’attenzione delle autorità intorno alle dinamiche che caratterizzano l’economia digitale non sembra dunque arrestarsi. Ancora molte sono le questioni aperte, in primis quella della definizione del mercato rilevante e, soprattutto, l’esigenza di tenere conto del modello di business degli operatori, in un settore caratterizzato da elevati investimenti in ricerca e sviluppo e dalla rapidità dell’impatto dell’innovazione. Sarà dunque interessante vedere gli sviluppi delle diverse iniziative nazionali e se la Commissione deciderà o meno di avocare a sé un’azione coordinata per evitare il formarsi di posizioni diverse nei vari Stati membri rispetto ad un fenomeno che appare di dimensione tutt’altro che nazionale.

Cecilia Carli
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Trasporti / Regolazione e mercato UE dell’aviazione – Prosegue il percorso per la riforma del quadro normativo comunitario: avviata una consultazione pubblica

Il 15 marzo la Commissione europea (Commissione) ha avviato una consultazione pubblica sulle norme comuni per le operazioni dei vettori aerei dell’UE nel mercato interno dell’aviazione. L’iniziativa si inserisce in un più ampio percorso teso a valutare e adottare possibili riforme del quadro normativo comunitario sulla prestazione di servizi aerei, disciplinati dal Regolamento n. 1008/2008.

Tale Regolamento, che a sua volta aveva consolidato (con alcune modifiche) i tre regolamenti preesistenti del 1992, stabilisce il concetto di vettore aereo dell’UE ed in particolare – superando l’approccio “bilaterale” della Convenzione di Chicago del 1944 (secondo cui nessun vettore può fornire servizi aerei verso, da o nel territorio di un altro Stato a meno che quest’ultimo non lo autorizzi espressamente) – prevede che, una volta in possesso di una licenza di esercizio valida, tutti gli operatori comunitari hanno il diritto di prestare servizi su qualsiasi rotta all’interno dell’UE senza ulteriori autorizzazioni (da parte di ciascuno Stato membro). Inoltre, il Regolamento disciplina altri aspetti quali: la competenza a rilasciare la suddetta licenza di esercizio, e a quali condizioni; il noto requisito secondo cui i vettori devono avere la propria sede principale di attività nell’UE ed essere detenuti a maggioranza e controllati effettivamente da Stati membri dell’UE e/o da loro cittadini (peraltro oggetto di linee guida nel 2017 della Commissione per chiare inter alia la differenza tra tale nozione di controllo e quella antitrust); la possibilità di imporre oneri di servizio pubblico; il c.d. “code sharing”.

La consultazione in parola, effettuata direttamente dalla Commissione, e rivolta a “…[t]utti i cittadini con un interesse nel settore dell’aviazione…”, si affianca ad altre iniziative previste in questi mesi, eseguite mediante consulenti esterni, per la valutazione ex post e la valutazione d’impatto del Regolamento, attraverso altre consultazioni rivolte più specificamente ai principali soggetti dell’industria (vettori, gestori di aeroporti, sindacati, ecc.) e a Stati ed amministrazioni competenti.

L’obiettivo dichiarato della Commissione è quello di approfondire i profili critici già individuati nell’attuale normativa, relativi ai fattori che impediscono una piena concorrenza e innovazione, nonché una adeguata tutela dei consumatori. Ciò si riflette nei quesiti, invero eterogenei, contenuti nell’e-survey, che copre temi quali ad es.: l’idoneità delle condizioni per la licenza e delle attività di monitoraggio nel limitare episodi di insolvenza; l’opportunità o meno di mantenere il requisito del “controllo” europeo; la chiarezza circa l’esistenza di oneri di servizio pubblico, e se questi sono o meno sufficienti; il livello di trasparenza dei prezzi; ecc.

La consultazione resterà aperta fino al 7 giugno 2018.

Alessandro Di Giò